Che ci siano disparità tra Nord e Sud in Italia è cosa conclamata.
Disparità che vanno avanti più o meno dall’Unità d’Italia e che – oltre 150 anni dopo – non sembrano essere risolte.
Disparità che si riverberano anche nel diritto alla salute dei bambini, secondo lo studio presentato quest’oggi che tanto sta facendo parlare.
Secondo uno studio in pubblicazione sulla rivista Pediatria della Società Italiana di Pediatria (che fa riferimento alle statistiche Istat riferite al 2018) se il Sud avesse avuto lo stesso tasso di mortalità infantile del Nord nelle regioni del Mezzogiorno sarebbero sopravvissuti 200 bambini.
Allo stesso modo fa rumore la statistica che vuole i bambini figli di genitori stranieri morire in quantità maggiore rispetto a quelli italiani: a parità di tasso di mortalità infantile sarebbero morti 88 bambini in meno.
I tassi di mortalità infantile sono tra i più bassi al mondo (ed è una statistica che va via via migliorando nel corso degli anni – la diminuzione dei numeri è costante dal 2006 al 2018) ma rimane questa grave discrepanza, come già sottolineato d’altra parte lo scorso dicembre da Mario de Curtis, già ordinario di Pediatria dell’Università La Sapienza nonché Direttore dell’Unità di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Umberto I di Roma, nonché presidente del Comitato per la Bioetica della Società Italiana di Pediatria.
In quel caso, si faceva riferimento ai dati del 2017:
“Gli ultimi dati Istat relativi al 2017 mostrano che il tasso di mortalità infantile nella Penisola è di 2,75 per 1.000: meno di 3 bimbi su 1.000 muoiono nel primo anno di vita. Inoltre, la mortalità neonatale (i bambini che muoiono nei primi 28 giorni di vita) rappresenta il 70% della mortalità infantile, indicando che le prime settimane di vita, in particolare la prima, sono il momento più critico dell’esistenza. Però nel Sud e nelle Isole i tassi di mortalità sono più elevati rispetto al Centro e al Nord, tanto che un bambino che nasce nel Mezzogiorno ha il 47% delle probabilità in più di morire rispetto a chi nasce al Nord Est”.
Ma non è tutto.
La disparità tra Nord e Sud si può notare anche nella necessità di bambini e ragazzi di dover lasciare la propria regione per andarsi a curare in altre parti d’Italia, a testimonianza di strutture deficitarie nel Mezzogiorno: un bambino del Sud ha infatti un rischio del 70% più elevato rispetto a un pari età del Centro Nord di dover migrare in altre regioni per curarsi.
E quella della “migrazione sanitaria” non è un fenomeno così marginale: nel 2018, secondo un report dell’Osservatorio Gimbe, ha coinvolto circa un milione di persone (per un costo di 4,6 miliardi di euro).
E si tratta di un fenomeno che provoca – sempre citando il dottor de Curtis – “profonde sofferenze per il distacco dal luogo di origine, problemi economici per le famiglie per le spese di trasferimento e difficoltà di lavoro dei genitori per l’allontanamento dalla loro sede”.
La presidente della Sip Annamaria Staiano sottolinea a sua volta: “L’idea che nascere e vivere in un particolare territorio del nostro Paese possa offrire una maggiore o una minore probabilità di cura e di sopravvivenza semplicemente non è accettabile. Questi dati ci mettono di fronte alla necessità di esigere un cambiamento, una repentina inversione di rotta”.
In tal senso la speranza è che i fondi previsti dal Next Generation UE possano servire per “iniziare limare il divario Nord-Sud”.
A partire dai più piccoli.