Francesca Nava, Il Focolaio: Esclusiva, quante morti si potevano evitare a Bergamo?

I camion militari di Bergamo (Tv2000)

La giornalista Francesca Nava ha scritto un prezioso documento per LaTerza Editori dal titolo “Il Focolaio: da Bergamo al Contagio Nazionale”. L’abbiamo ascoltata in esclusiva.

Si potevano evitare delle morti a Bergamo, letteralmente falcidiata dal Covid-19? Ci sono stati degli errori? Queste domande ce le siamo fatti tutti e proprio per questo abbiamo deciso di contattare Francesca Nava che con minuzia e grandissima capacità analitica ci ha raccontato una realtà che davvero fa venire i brividi. 

Tutti ricordiamo quelle terribili immagini dei camion dei militari che portavano via corpi su corpi in una Bergamo che divenne in poco tempo la città più falcidiata da questa pandemia. Troppi sono rimasti ancora oggi, a un anno e mezzo dall’inizio della stessa, i dubbi che ci portiamo dietro. Ascoltiamo però le sue parole.

Francesca Nava, Il Focolaio: una tragedia evitabile?

Francesca Nava, Il Focolaio
Francesca Nava, Il Focolaio

Il Focolaio è un libro maturo, un saggio in cui Francesca Nava analizza l’inizio della pandemia con minuziosa attenzione. Come è partita l’idea di scrivere questo libro però? “Non avevo mai pensato di scrivere un libro. Ho iniziato con la carta stampata all’Eco di Bergamo poi mi sono trasferita all’estero e la mia vera carriera l’ho iniziata in tv. Ho scritto per circa un anno, tenendo poi una collaborazione con l’Eco di Bergamo. Non pensavo di continuare con la scrittura anche se mi ha sempre appassionato. Dal 2004 ho iniziato a lavorare per la tv, iniziando a Matrix con Enrico Mentana. Sono poi passata a Lione a EuroNews, poi Sky Tg 24, La7 e alla fine la Rai. Ho sempre mantenuto collaborazioni giornalistiche, poi è arrivata la pandemia e siccome mi sono sempre occupata della sanità. Ho fatto grandi inchieste, una ha vinto l’ultimo premio Ilaria Alpi “Occhio al farmaco” per La7.

Francesca Nava
Francesca Nava

Continua parlando del Covid-19: “Quando a gennaio 2020 si è iniziato a parlare di epidemia sconosciuta in Cina io lavoravo a Rai 3 per Lucia Annunziata e mi sono subito proposta, anche lei ha avuto la sensibilità di seguire quello che stava accadendo. Ho iniziato a fare dei reportage e sono stata anche a Londra per intervistare uno scienziato all’Imperial College, questo è stato uno dei primi a lavorare sul primo vaccino genetico contro il Covid. In quel contesto mi colpì l’intervista che feci a un’epidemiologa italiana della squadra, Ilaria Dorigatti di Trento, tra gennaio e febbraio. Mi disse, prima di Codogno, che il virus stava già circolando in Europa, perché era entrato attraverso gli asintomatici, il cui ruolo era stato sottovalutato sin dall’inizio. Questa sua frase decidemmo di non riportarla per non creare allarmismo. Oggi me ne pento”.

Aggiunge poi:Di là a pochi giorni c’è stato il caso 1 a Codogno, dove si è concentrata l’attenzione come la Wuhan italiana. Io essendo cresciuta a Bergamo, anche se vivo a Roma per lavoro, conosco molte persone che lavorano in presidi sanitari. I contatti con loro sono stati quotidiani dal 21-22-23 febbraio. Il 23 quando accade la chiusura e la riapertura dell’ospedale di Alzano Lombardo, inizio ad essere bombardata da informazioni che non si fermano più. Cerco di attivarmi per mettermi in contatto con la direzione sanitaria di Alzano Lombardo. L’elemento che mi fa capire che qualcosa stava succedendo e che non veniva raccontato adeguatamente è una lettera anonima (sapevamo chi l’aveva scritta ma non voleva apparire) che riceve un mio collego che lavora all’Avvenire. Lui la pubblicò qualche giorno prima, iniziai a proporre una ricostruzione cosa stava accadendo a Bergamo rispetto a Codogno. Perché a Codogno si chiude il pronto soccorso per il primo caso e la zona rossa nel lodigiano e ad Alzano Lombardo no. Mancavano degli argomenti anche per la gente, vedevo solo cronaca e non analisi. Contatto Giulio Gambino il direttore di Tpi e gli racconto non solo di questa lettera, contatto la direzione sanitaria di Alzano Lombardo che oppone il silenzio stampa, inizio a sentire l’infermiera del pronto soccorso e persone che erano dentro il giorno che è stato chiuso e riaperto. Inizio a raccogliere testimonianze di pazienti, facendo un lavoro attorno all’evento di chiusura e riapertura e mi rendo conto di avere in mano moltissime informazioni da una parte contraddittorie rispetto alla narrazione ufficiale, ma dall’altra svelano qualcosa dal punto di vista giornalistico quasi indicibile. Queste testimonianze portavano a sollevare il dubbio che le persone erano state mandate a morire. Il focolaio nel pronto soccorso non era stato isolato, non era stato dato l’allarme alla popolazione, non era stata fatta la sanificazione e le persone potevano entrare nell’ospedale e potevano ammalarsi. Cosa ancora più grave è che non c’era stato nessun tracciamento, questo andava raccontato. Le persone, a partire dai dipendenti ai famigliari, senza tracciamento, senza aver lasciato nome e cognome, senza essere tamponate, senza isolamento erano state mandante a casa. Questo aveva scatenato una bomba epidemiologica. Porto avanti questo lavoro fino al 7-8-9 marzo quando poi viene chiusa la Regione Lombardia. Dal 23 febbraio all’8 marzo non viene fatto nulla per isolare questo focolaio. C’è un elemento fondamentale che è il racconto della zona di Alzano Lombardo e Nembro, quindi il cuore della Val Seriana, la culla industriale, ha una densità di fabbriche e di operai tra le più alte dell’Italia. Questo mi fa collegare i vari punti della mia indagine e mi accende nel sollevare il dubbio che tutto questo lassismo in qualche modo non sia casuale, perché non era il primo evento quello di Alzano Lombardo, c’erano stati quelli di Codogno e quello di Schiavonia col primo morto, il pensionato Trevisan, l’ospedale viene chiuso, sanificato, vengono fatti 700 tamponi, il focolaio viene spento. Perchè ad Alzano Lombardo non viene fatto nulla nonostante lo stesso evento? Forse perché la posta gioco era diversa? Forse perché c’è una densità operaia tra le più elevate in Italia e questo portava a una perdita di consenso, un’azione politica coraggiosa che avrebbe causato un rallentamento della produzione. Mi pongo queste domande con 2-3-4 punti interrogativi, ma sono domande che io mi pongo come cittadina lombarda e bergamasca ma che sento di porre anche all’opinione pubblica delle testimonianze che vado via via percorrendo”.

Interessante è anche quello che è stato il percorso della sua inchiesta: “Ho tardato un po’ nell’uscire col mio primo pezzo sul Post Internazionale che uscirà a metà marzo quando l’Italia è già in lockdown, ma che ha un milione di visualizzazione che apre le porte alla mia inchiesta. Si chiamava proprio “Epidemia colposa?“. Questo primo articolo tardo a scriverlo per una ragione fondamentale, pur avendo fatto un lavoro di inchiesta e verifica, di riscontro delle parti dai dipendenti dell’ospedale di Alzano a parenti dei malati fino a medici e cittadini di Nembro e Alzano. Chiesi interviste al direttore sanitario e al direttore generale ASST Bergamo Est che non mi vogliono rispondere così come i politici. Ma gli elementi erano troppo coincidenti in questa direzione ma soprattutto c’era un elemento assolutamente incontrovertibile e cioè la realtà dei numeri. Eravamo di fronte a un aumento esponenziale dei morti, numero da controllare perché i tamponi non c’erano e non si riusciva a stare dietro ai tracciamenti. Nella prima ondata abbiamo dunque avuto una sottostima incredibile, riuscirono poi a ricostruire il numero dei morti tra l’Eco di Bergamo e i sindaci dei comuni della Val Seriana ed emerse che era il doppio di quello dichiarato ufficialmente. Era evidente da fine febbraio fino ai carri militari del 18 marzo che qualcosa era sfuggito di mano. Scrissi una serie di articoli e mi contattò poi Laterza per raccogliere questo materiale prezioso in un libro con una visione più approfondita e più ampia”.

Oggi è in corso un vero e proprio processo in merito a questi fatti: C’è un procedimento penale per epidemia colposa avviato dalla Procura di Bergamo nell’aprile 2020. La procura sta indagando sulla strage di Bergamo (6000 vittime covid in due mesi) e in particolare sulle eventuali negligenze e omissioni messe in atto dal governo Conte e dal ministero della Salute e da Regione Lombardia a partire proprio dal focolaio dentro all’ospedale di Alzano Lombardo e a partire dalla mancata zona rossa in Val Seriana e dal mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale. Io sono stata convocata come testimone ad aprile dell’anno scorso come persona informata sui fatti. Ad oggi ci sono 6 indagati: sono 5 dirigenti della sanità lombarda e Ranieri Guerra direttore vicario OMS ed ex direttore generale della prevenzione del ministero della salute, accusato di falsa testimonianza ai PM di Bergamo. Guerra avrebbe rilasciato dichiarazioni false agli inquirenti rispetto al rapporto OMS sull’Italia ritirato dal web (un rapporto che definiva la gestione Covid del governo italiano “caotica, improvvisata e creativa”)”.

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